Ciao Bianca,

ti scrivo ancora da Roma, ormai sto rimettendo radici nel luogo dal quale mi ero sradicata, forse per colpa dell’eccessivo zelo di trovare terreni più fertili che dessero nutrimento alla mia anima irrequieta.

Sto cominciando ad apprezzare la quiete della normalità, l’affetto strabordante di mamma, l’insopportabile essere burbero del Colonello e la spensierata frivolezza di Sandro.

Ma questo apprezzamento, ne sono certa, non è merito loro: sono io che sono diversa. Sono io che ho iniziato a vedere la mia famiglia come un nido e non una prigione. Ho vagato, viaggiato e camminato così tanto alla ricerca di qualcosa che non sono riuscita trovare (forse “semplicemente” me stessa?!). Ho iniziato a fare l’assistente di volo a soli 20 anni spinta dalla necessità di evadere e rinchiudere in una valigia l’essenziale.

Quello che ho scoperto in queste settimane è che le cose più importanti non possono essere pesate al check in. Le cose più importanti sono un bagaglio ad anima che custodisci dentro di te e, nel momento in cui ne prendi consapevolezza, la loro mastodontica importanza diventa la ragione della tua leggerezza.

L’amore può guarire molte ferite, le più profonde. Soprattutto quello per te stesso e per quello che hai. Arrendersi e accettare i propri limiti, accogliere e dare, senza domande, senza strategie, senza aspettative è la fonte di serenità più grande che ci sia.

In queste settimane, mi sfondo di serie TV su Netlix con mio fratello (lui adesso è super preso con The Stranger Things), ascolto i racconti di lavoro di mio padre e ho ripreso a cucinare con mia madre, come quando ci si ritrovava tutti a Villa Segreta con nonna Egle.

L’incidente di papà è stata l’occasione per apprezzare le imperfezioni della mia famiglia che, per quanto sgangherata, sa scaldarmi il cuore.

Stasera ho voglia di impastare qualcosa di semplice e buono, che sappia di casa.

Ti abbraccio,

Stella